Occhi nuovi

di Piero Coda

Piero Coda, docente di teologia dogmatica alla Pontificia Università Lateranense e prelato segretario della Pontificia Accademia teologica oltre che presidente dell’Associazione teologica italiana, conosceva d. Silvano da una lunga frequentazione personale che risale ancora al tempo della sua formazione al sacerdozio, trascorsa a Grottaferrata.

Ciò che d. Silvano trasmetteva con estrema naturalezza e avvincente confidenza erano occhi nuovi per guardare e leggere la realtà. Si tratta di quello sguardo che è tipico di Gesù, perché gli viene dall’Abbà, e di cui Gesù ci rende partecipi nel suo Spirito col dono della fede che viene reso efficace attraverso i carismi con cui di tempo in tempo Egli visita la Chiesa e l’umanità. Tale sguardo – come spesso con gioia egli stesso raccontava – d. Silvano l’aveva ricevuto incontrando il carisma dell’unità di Chiara. Ricordo in proposito due episodi in cui le sue parole si sono incise a caratteri di fuoco nel mio cuore.

Il primo risale, se ben ricordo, al 1978. Partecipavo con un gruppo di gens (seminaristi aderenti alla spiritualità del Movimento dei focolari; n.d.r.) provenienti da tutto il mondo a una scuoletta estiva di formazione a Campo Blenio, in Svizzera. Era pomeriggio, e d. Silvano ci raccontava qualcosa di Chiara e della luce da lei ricevuta. A un certo punto aprì nel suo dire uno squarcio sul mistero di Dio rivelato in Gesù a Chiara che letteralmente mi risucchiò. Fu un bagliore di luce che penetrò nella mia anima e vi restò scolpito. Disse che Chiara, per il dono che Dio le aveva fatto ancora agl’inizi del Movimento, portava impressa in sé, nella vita e nel pensiero, la legge trinitaria dell’amore, quel ritmo di unità e distinzione cioè che, essendo l’essere di Dio stesso, è inscritto in ogni essere creato. Chiara – sottolineò d. Silvano – vede tutto sempre e solo in questa luce. Non so come e perché, ma quella fu una comunicazione sostanziale: come se lo stesso sguardo in quel momento mi fosse donato. Da allora percepii le cose in modo diverso, perché mi trovai introdotto in quello stesso spazio di luce. Ci vollero gli anni, e in particolare la grazia d’essere chiamato da Chiara, circa un decennio dopo, nella Scuola Abbà (il Centro studi del Movimento dei focolari, n.d.r.), per discernere via via i paesaggi inediti e straordinariamente intensi che questo sguardo dischiude. Ma gli occhi mi erano stati donati una volta per tutte.

Il secondo episodio risale all’estate del 1983. Ci si trovava a Veysonnaz, nel Vallese, per alcuni giorni di unità che avevano al loro cuore la condivisione sulla novità ecclesiale e culturale propiziata dal carisma dell’unità. Eravamo seduti all’aperto, in un prato scintillante di sole. Si parlava di Gesù in mezzo, e cioè di quella presenza del Risorto tra coloro che sono uniti nel suo nome, che senza meno rappresenta uno dei doni più significativi e incisivi del carisma dell’unità alla vita e alla missione della Chiesa oggi. A un certo punto, con repentina autorevolezza, don Silvano fece scattare il discorso su di un altro piano, che disegnò come un lampo l’abisso divino e umano insieme sul quale soltanto ciò che si era andati dicendo trovava verità. In realtà – disse – solo l’amore esclusivo a Gesù abbandonato è la via, sempre di nuovo e sempre in modo nuovo a portata di mano, che apre alla presenza viva di Gesù risorto tra noi. Anche questa volta le sue parole fecero centro, e in modo definitivo. Le capii a fondo, sempre più, alla scuola di Chiara: che non teme d’indicare proprio in Lui, in Gesù abbandonato, “la legge universale” che regge l’Increato e il creato, la chiave di volta di quel ritmo trinitario di luce che è Dio Amore. A partire da ciò sempre più ho compreso – con l’anima e poi con la mente – perché d. Silvano non si stancava di ripetere con la vita e la parola che Gesù abbandonato è la realizzazione compiuta dell’umano.